Viaggio di andata

Viaggio di andata  (scarica gratuitamente le 44 poesie in formato pdf)

Viaggio di andata: non viaggio semplicemente, come a sottolineare che il ritorno è escluso, non è contemplato, non è previsto. Perché?

La prima parte del libro, “L’attesa”, ci presenta tutti quei temi che verranno affrontati nella seconda parte del libro e ci pone tutte quelle domande a cui il viaggio cercherà in qualche modo di rispondere. Rispondere significa capire, ma anche ammettere che non tutto si può capire. Ed è soprattutto di fronte a ciò che non riusciamo a capire che assume importanza estrema il viaggio, con la sua azione terapeutica, con la sua tensione verso l’infinito, con il suo partire dalle situazioni quotidiane per interrogarsi, tormentarsi e poi tornare ancora al viaggio.

“Via Crucis” appare come il vero incipit del libro: racconta la fine di un viaggio, la sofferenza di un uomo ormai imprigionato in questa vita, per il quale la libertà ormai può essere raggiunta solo attraverso un nuovo ed incognito viaggio. Proprio da qui, dalla fine di una vita, dalla fine del viaggio per antonomasia, inizia l’interrogativo che attraversa poi tutto il libro: ha uno scopo questo nostro viaggio?

Il viaggio del poeta inizia da ciò che lui conosce meglio, dai luoghi in cui è cresciuto, in cui per la prima volta si sono affacciate le domande. E così parte dall’Arno, che da sempre lega il suo percorso a Pisa e Firenze, che con il suo scorrere viaggia, tocca tanti luoghi e vede persone diverse, attraversa esperienze e raccoglie domande, riversa infine tutta la storia trasportata nel mare. Ma tutto ciò che il fiume trascina verso il mare non vi arriva come era partito, vi arriva trasformato, filtrato attraverso l’esperienza, attraverso il viaggio. Il fiume porta con sé le scelte, perché ad ogni ansa, ad ogni innalzamento o abbassamento della marea, è legata una scelta, che da sola potrebbe cambiare il percorso del fiume. Sono troppe le scelte, troppe perché ognuna di loro darebbe una nuova svolta al viaggio e creerebbe nuovi infiniti viaggi. Ma l’infinito non è fatto per l’uomo e le scelte che gli sono permesse lo legano ancora di più alla sua finitezza, alla sua mortalità. Ogni scelta è una pietra divelta dal fiume, è un “ora” e un “qui” che annulla tanti altri “ora” e “qui”.

Accanto al fiume, parte attiva del viaggio, appare l’orizzonte, l’attore passivo, che innesca però nell’uomo la voglia del viaggio. L’orizzonte è un inganno, è un’illusione, è un punto di arrivo che non si raggiunge mai, è la promessa del premio alla fine del viaggio, l’illusione di capire, di rispondere finalmente alle domande. Ma davvero è importante capire? Non è forse quest’anelito verso la fine del viaggio e questo non capire lo scopo stesso del nostro viaggio? Forse davvero partire è la nostra unica meta.

E allora partiamo, insieme all’uomo con la valigia, il primo a rendersi conto che per rivestire il mondo dei colori più belli si deve partire. Basta domande, basta pensare, dobbiamo lasciarci trasportare dall’istinto, dalle sensazioni, dagli odori, dai rumori e dai profumi. E viaggiare non vuol dire solo camminare, significa soprattutto sognare, percepire, raccogliere esperienze, sensazioni e pensieri in una valigia e poi svuotarla all’improvviso, condividerla, rivivere il viaggio attraverso il ricordo, assaporarlo di nuovo e partire poi per un viaggio ancora.

In questo modo anche le foglie che si staccano dall’albero e che affrontano il loro ultimo viaggio verso il basso, verso la fine, verso la morte, acquistano un valore inestimabile: raccolte nella valigia dell’uomo che ama sentirne lo scricchiolio sotto ai piedi acquistano nuova vita, ricostruiscono ricordi e sensazioni, raccontano di viaggi fatti e preparano a viaggi nuovi.

 

Arrivati alla fine della prima parte del libro il poeta ci ha preparati: sappiamo più o meno cosa ci attende durante il viaggio che faremo insieme all’uomo con la valigia; sappiamo che non avremo risposte, ma che avremo così tante domande da poterci non fermare mai, avremo la spinta a continuare il viaggio nonostante nella valigia abbiamo soltanto foglie secche. Perché impareremo ad amarne lo scricchiolio.

 

Nella seconda parte la preghiera dell’Epifania è stata esaudita: siamo in viaggio.

Fin dall’apertura il viaggio viene visto come un anelito collettivo, che spaventa a tal punto che molti sono quelli che decidono di non partire, di rimandare. E’ la paura dell’incognito, del diverso, del non normale, è la paura della mente di colui che si vuole spingere oltre i limiti imposti all’uomo. Ma qual è il prezzo della rinuncia al viaggio?

Ed ecco che appare Ulisse, figura al di sopra delle righe, che mai ha avuto paura del viaggio. Nella figura di Ulisse sono comprese tutte le sfaccettature del viaggio: c’è il viaggio vero e proprio, ma anche il viaggio della mente, inteso come lo spingersi oltre ai limiti imposti, come il non sottostare passivamente a ciò che è stato stabilito, il tentare sempre e comunque di raggiungere la conoscenza che ci è negata dalla nostra finitezza, dalla nostra mortalità. Con Ulisse condividiamo l’istinto del viaggio (non il desiderio, l’istinto) e ci prefiggiamo sempre nuove mete, per non terminare mai il nostro cammino verso l’infinito. E allora questa smania di viaggiare, non sarà solo un modo per scongiurare la fine dei viaggi, per spostare l’ultimo sempre più lontano, fino a farlo tendere verso l’infinito? E’ questa lotta a spostare sempre più avanti l’orizzonte quella che accomuna tutti gli uomini e che diventa per alcuni ricerca affannosa di un Dio, per altri negazione di questo stesso Dio, ma sempre e comunque ricerca di una risposta: perché “fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza”.

Ma il viaggio non esercita la sua azione terapeutica solo su chi non ha paura di intraprenderlo, perché anche il racconto e il ricordo del viaggio riescono a regalare in parte le emozioni provate e a immortalare il viaggio stesso e il viaggiatore che ce lo regala. E’ dal racconto del viaggio che il poeta trae e dispensa sollievo, attraverso una decostruzione-ricostruzione degli avvenimenti, che porta a nuovi viaggi della mente, a nuove sensazioni ed emozioni. Il poeta regala un percorso fatto di sentimenti e di sensazioni, che permette anche a chi ha avuto paura di iniziare il viaggio verso l’infinito di partire, di allontanarsi dall’ora e dal qui, dai soliti limiti di tutti i giorni. Forse questo non è proprio un viaggio verso l’infinito come quello di Ulisse, ma è comunque uno spingersi oltre i canoni, oltre lo stabilito, oltre il sicuro.

La forza del ricordo aiuta a scongiurare anche la paura dell’ultimo viaggio; finché i ricordi resisteranno, finché si continuerà a raccontare di viaggi passati, anche Caronte sarà tenuto a bada, perché niente può spaventarci e soprattutto niente può annientare il ricordo che lasciamo dietro di noi grazie alla nostra narrazione.

 

Arrivati ormai verso la fine del libro siamo in grado di rispondere alla domanda che ci eravamo posti all’inizio: perché viaggio di andata?

Perché l’orizzonte è una finzione, non un punto di arrivo, l’orizzonte è una non-meta, perché mai lo raggiungeremo. L’orizzonte è una non-meta perché già al momento della partenza sappiamo che non ci arriveremo mai. Eppure fa parte del nostro essere uomini questa illusione dell’arrivo, che ci dà la spinta per andare avanti, per sublimarci nell’arte, per spingerci a lasciare un ricordo del nostro viaggio su questa terra. Un ricordo che stimolerà altri uomini ad intraprendere il viaggio senza ritorno verso quell’orizzonte che sfiora l’infinito.  

 

Letizia Moretto

 

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