Recensione di Effetto Larsen su Mangialibri

EFFETTO LARSEN ‒ L’ASIMMETRIA DEL RITORNO

Effetto Larsen ‒ L’asimmetria del ritorno
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Che cosa hanno in comune i cadaveri di Giovanni Tulipiero detto Belin ‒ mediatore immobiliare di origini genovesi trapiantato a Bibbona ‒ e di Giovanna Benincasa ‒ bidella ed ex moglie di un rampollo dei Della Gherardesca ‒ a parte il nome e un anello infilato fino a metà del dito medio? Il cadavere dell’uno è stato rinvenuto da Germano Pioppi semisepolto in una macchia di pacciamatura, quello dell’altra è stato scoperto da un fotografo di passaggio ai piedi dell’altare della Chiesa sconsacrata della Spina, gioiello architettonico del Gotico pisano. Carlo Silvestri è convinto che i due omicidi abbiano qualcosa in comune: l’autore, e a suggerirglielo non sono solo alcune coincidenze come l’anello bloccato a metà del dito medio di entrambi i cadaveri, il fatto che entrambe le vittime avessero legami con la lingua di costa toscana che va da Marina di Cecina a Marina di Donoratico. A fornire carburante alle sue ipotesi si aggiungono gli indizi fornitigli dal suo visitatore onirico: il Barbiere Sigaro, le cui visite notturne mettono in moto azzardate e funamboliche deduzioni. Il suo pragmatico e incolto scudiero Rufino Titta lo segue adorandolo come un semidio, fa da cassa di risonanza alle elucubrazioni del suo superiore e lo accompagna in peregrinazioni da Vada a La California, da Marina di Castagneto a Bolgheri sorbendosi pazientemente spiegazioni e citazioni latine, sicuro che gli atipici interrogatori a cui Silvestri sottopone Zighitoun, il Civetta , Einstein, la parrucchiera del villaggio, l’architetto Pioppi e, soprattutto il misterioso Ibis l’egiziano, porteranno alla luce i nessi e i collegamenti tra i due omicidi oltre che succosissimi dettagli delle vite e delle faide tra la famiglia del Carducci e i Della Gherardesca, che erano sfuggiti anche agli occhi indagatori delle Tre Grazie, detentrici del titolo ufficiale di pettegole locali…

L’effetto Larsen, o ritorno acustico, è il fischio che si sviluppa quando i rumori di un altoparlante tornano ad essere captati da un microfono ed è anche il riverbero che eventi apparentemente sconnessi tra loro producono nella mente iperattiva di Carlo Silvestri. Silvestri e Titta sono una coppia investigativa consolidata che ha esordito nel primo dei libri del ciclo Effetti, Effetto Domino, e che alla quinta uscita prosegue nelle sue peregrinazioni in una Toscana meno nota al grande turismo ma di immenso fascino, e regala al lettore dettagli paesaggistici, storici ed enogastronomici inediti e originali, come il Cimitero di Nonna Lucia, un luogo di pace e serenità molto amato dagli abitanti di Bolgheri in cui riposa la nonna di Giosuè Carducci, o l’ottimo Bruciato, degno rivale del più noto Sassicaia. Andrea Falchi è riuscito, in un panorama saturo di giallisti come quello toscano e pisano, a creare una nuova, inedita “sfumatura di giallo”. Per ottenerla ha intinto a piene mani il pennello nell’ironia greve tipica della costa maremmana e nella passione per la storia locale e l’aneddotica, riuscendo nell’equilibrismo di menzionare famiglie e casati, senza mai fornire appiglia a controversie o querele. I cinque Effetti finora pubblicati sono a metà tra il racconto lungo e il romanzo breve, e, questa forma, che viene incontro ai gusti di un pubblico con una capacità di attenzione sempre più ridotta, riesce a comprimere nelle poche pagine tutti gli elementi essenziali di un’indagine , anche se lascia un po’ di amaro in bocca riguardo l’approfondimento di personaggi che avrebbero tutte le potenzialità per diventare strepitosi.

Andrea Falchi intervistato da Mangialibri

INTERVISTA A ANDREA FALCHI

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Andrea Falchi è uno dei giovani autori che stanno rapidamente scalando la classifica dell’interesse del pubblico, in una città e in una regione ‒ Pisa e la Toscana ‒ sature di giallisti, grazie al suo approccio particolarissimo a una materia ipersfruttata che sembra non avere più molte angolazioni “originali”. Gli investigatori protagonisti della sua serie di brevi, succose storie, hanno la peculiarità di essere ugualmente interessati alla storia degli ambienti in cui i delitti si svolgono e al “mistero dell’assassino misterioso”. Quando l’ho incontrato al Pisa Book Festival 2016, Andrea mi ha preso alla sprovvista col suo aspetto da studente un po’ geek, appena fuori corso, non esattamente quello che mi aspettavo da un autore al suo sesto libro e direttore di una collana editoriale.

Con il Ciclo degli effetti sei riuscito nella difficile impresa di esplorare nuove sfumature di giallo, un genere in cui i pisani e i toscani in genere ultimamente si sono cimentati molto, lasciando pochi spazi di originalità… Ci racconti come hai concepito questo ciclo di storie che per ora comprende cinque volumi?
L’idea è quella di creare un continuum di storie, appunto un ciclo, mescolando diverse suggestioni, da quella puramente letteraria (stessi personaggi che investigano, una storia con elementi misteriosi) a una più sociologica-scientifica che sfruttando appunto tutta una serie di effetti esistenti sia in natura che in ambito antropico mi possano permettere di perlustrare tutti gli anfratti più reconditi dell’essere umano.

Per la coppia investigativa Silvestri –Titta ti sei ispirato a qualcuno di reale o a icone letterarie del tuo immaginario di lettore?
Per la coppia di investigatori Silvestri-Titta non mi sono ispirato a nessuno in particolare. I nomi richiamano il gatto Silvestro e l’uccellino Titti che sono sempre in battibecco fra loro. Mi serviva una coppia che stesse agli antipodi. Silvestri un romantico dell’investigazione che si lascia trasportare dall’intuizione, dalla lettura, dall’associazione di idee e dalle sue rielaborazioni oniriche nella figura del barbiere Sigaro. Colto, arruffone, passa dalla citazione classica all’invettiva in meno di un secondo. Titta, invece, apparentemente ignorante, credulone con le sue battute spiazzanti in realtà attiva la materia grigia del commissario Silvestri.

I libri del Ciclo degli effetti sono una via di mezzo tra un racconto lungo e un romanzo breve. Sono della lunghezza perfetta perché anche il lettore più svogliato possa leggerli tutti d’un fiato e senza seguire un ordine predeterminato, insomma. È una formula voluta?
Sì, il mio obiettivo è quello di farmi leggere e la scorrevolezza della scrittura unita alla curiosità per la storia fanno di questi romanzi brevi un perfetto connubio anche per chi non è avvezzo alla lettura. La percentuale di miei lettori che arriva in fondo è molto elevata, segno che l’assunto iniziale è stato centrato. La possibilità poi di poter leggere in maniera indipendente un racconto dall’altro agevola e incuriosisce a continuare la lettura delle altre storie.

La vera originalità di Effetto Larsen e degli altri libri della serie è, come dicevo, la particolarissima sfumatura di “giallo” che contiene molte diverse nuances. Gli omicidi, i misteri su cui investigano Silvestri e Titta sono solo una piccola parte degli eventi; spesso i luoghi in cui si svolgono sono più interessanti del fatto di cronaca. I tuoi libri sono il pretesto per raccontare una toscana diversa dai luoghi da cartolina del Chiantishire?
Il giallo di provincia si è imposto negli ultimi anni forse perché l’interesse del lettore si è spostato più verso la piccola città e la riscoperta degli aneddoti e delle sue tradizioni. Nei miei romanzi la Toscana e in particolare Pisa, la Valdera e la Costa degli etruschi sono veri e propri protagonisti nelle mie vicende e non semplici sfondi paesaggistici. Esiste, infatti, molto altro oltre alle pur stupende colline del Chianti.

La tua formazione scientifica sembra influenzare molto la tua scrittura, sia nella scelta dei temi, che nell’approccio investigativo. La presenza di Sigaro, il consigliere fantasma, tra i personaggi dei tuoi libri, è una sorta di contraltare al metodo scientifico?
Sì è proprio così, in me si dibattono come due forze contrarie fra loro, la razionalità scientifica e l’irrazionalità letteraria, la finzione. Da una parte la tranquilla oasi del metodo scientifico, dall’altra la più accattivante scorribanda delle parole e delle invenzioni letterarie. In tutti i miei romanzi si respira questa aria di doppiezza che non è sinonimo di inganno, ma di duplice visione della realtà.

Bastano cinque libri pubblicati e la direzione di una collana editoriale per indossare la sola casacca di autore o sei ancora un chimico prestato alla letteratura?
La scrittura ad oggi rappresenta per me ancora una passione, un hobby nel senso più nobile del termine. D’altronde il lavoro che faccio (informatore scientifico del farmaco) è la migliore palestra che uno scrittore possa desiderare perché mi permette quotidianamente di entrare a contatto con un vasto campionario di “materia” umana.

L’ironia e l’autoironia sembrano essere tratti fondamentali della tua scrittura. Silvestri combina pasticci, prende cantonate, non sempre risolve il caso fino in fondo, Titta è un pragmatico quasi caricaturale e tutti i personaggi sono iconici a partire dal nome o soprannome (questore Pitali etc)…
Con quest’ultima domanda hai centrato perfettamente il senso dei miei romanzi. Sì, sono gialli, sì c’è la provincia, ma soprattutto c’è tanta, tanta ironia. La scelta dei nomi non è mai casuale, ma se mi posso permettere anche delle singole parole, perché sono un estimatore della lingua italiana e amo approfondire l’etimologia dei termini. Non a caso per anni ho scritto poesie dove la scelta della singola parola molte volte poteva farmi stare a guardare lo schermo anche per ore. In questo ultimo romanzo poi ho dato voce a un personaggio (Ibis l’egiziano) che nei momenti di tensione si esprime in latino. Un omaggio alla lingua italiana e alle sue origini.